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We Stand in Solidarity with Italian Feminists!

On 12 February 2012, a woman was raped in Aquila, Italy, by Francesco Tuccia a military man. When two women of the feminist solidarity network distributed a letter condemning Tuccia’s (who was held guilty of all charges) lawyer, the latter filed a defamation complaint following which Aquila’s prosecutor signed an order of sequestration of the computer, I-pad and the mobile phone of one of the women. On November 18, at 10 am there is a call for a protest of solidarity outside the court of Aquila in solidarity with the women and their letter. Nazra for Feminist Studies invites feminists around the world to stand in solidarity with our sisters in Italy, through reading the facts and the letter in question below, and signing the petition written by the Italian feminist group ‘’Feminist Comrade in Italy’.

Italian feminists struggle against rape, rapists, and their lawyers, should be feminists’ struggle everywhere!

Narra Egypt

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AbruzzoWeb: Stupro L’Aquila: tensione tra legali Tuccia e papà ragazza

abruzzoweb del 6 dicembre 2013

 

STUPRO L’AQUILA: TENSIONE TRA LEGALI TUCCIA E PAPA’ RAGAZZA, ORA L’ATTESA

L’AQUILA – È prevista per la serata la sentenza d’appello per l’ex militare campano di stanza nel capoluogo Francesco Tuccia, condannato in primo grado a 8 anni di carcere per lo stupro di una giovane studentessa universitaria laziale avvenuto nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 2012 fuori da una discoteca di Pizzoli (L’Aquila).

È sicuro che i giudici della Corte d’Appello si pronunceranno perché, secondo quanto si è appreso, è stata rigettata la richiesta del pool della difesa di approfondimento alla luce della richiesta di una perizia medica.

Il processo di secondo grado di una vicenda che ha innescato una discussione nazionale è caratterizzato dalla presenza di numerose rappresentanti di associazioni di donne, tra cu il Centro anti violenza dell’Aquila, che in primo grado è stato riconosciuto tra le parti civili.

“Siamo qui in tante provenienti da tante città d’Italia – ha spiegato il legale del centro, Simona Giannangeli – riteniamo che un processo come questo riguardi tutte noi auspicando una sentenza giusta tendendo conto di quanto accaduto e delle conseguenza che ha provocato e non invocando altro”.

Le rappresentanti delle associazioni hanno esposto all’esterno della corte d’appello alcuni striscioni con scritte tra cui “Il processo dell’Aquila lo conferma, lo stupro, lo Stato lo vuole occultato”, firmato Compagne femministe e lesbiche; “se toccano una, toccano tutte”, “stupratore non lo dimenticare, la furia delle donne dovrai scontare”.

Il giovane ex militare ha lasciato l’aula al termine dell’udienza, mentre la giovane attorniata dai genitori è presente in Corte d’appello.

Il procuratore generale Ettore Picardi ha chiesto, a parziale riforma della sentenza di primo grado, la condanna a 11 anni di reclusione.

Al temine dell’udienza, ci sono stati momenti di tensione tra l’avvocato Antonio Valentini, uno dei due difensori di Tuccia che ha parlato di “rapporto consenziente finito male”, e il padre della giovane vittima dello stupro.

LA DIFESA: ”CHIEDIAMO APPROFONDIMENTO MEDICO”

Potrebbe slittare la sentenza prevista per il tardo pomeriggio del processo presso la Corte d’Appello dell’Aquila per l’ex militare campano di stanza nel capoluogo Francesco Tuccia, condannato in primo grado a 8 anni di carcere, per lo stupro di una giovane studentessa universitaria laziale avvenuto nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 2012 fuori da una discoteca di Pizzoli (L’Aquila).

L’avvocato del giovane, l’aquilano Antonio Valentini, che affianca il collega campano Alberico Villani, ha infatti presentato una istanza di approfondimento delle indagini chiedendo in particolare una perizia medica.

Secondo quanto si è appreso, la strategia della difesa dovrebbe essere quella di chiedere il riconoscimento delle attenuanti generiche, facendo riconoscere inoltre il solo reato di lesioni colpose ma senza la violenza sessuale, in riferimento a un “atto sessuale consenziente finito male”.

A questo punto quando tra poche ore la corte si riunirà in camera di Consiglio, dovrà valutare la richiesta di perizia.

Se la decisione sarà negativa, i giudici andranno a formulare la sentenza, altrimenti servirà un approfondimento di indagine per il quale dovrà essere fissato un termine, di qui l’ipotesi di uno slittamento.

In ogni caso il presidente della Corte d’Appello ha concesso all’imputato di poter tornare a casa senza attendere la sentenza.

Per l’avvocato della giovane, Enrico Gallinaro, tuttavia, “non esistono i presupposti per concedere le attenuanti generiche. Ritengo il fatto di una gravità tale – aggiunge – che si giustifica il riconoscimento dell’aggravante della crudeltà e sevizie e quindi un aggravio della pena. Questa è una mia opinione, vedremo quale sarà la valutazione della corte”.

VALENTINI: “PRATICHE ESTREME? UN’INVENZIONE”

“Gli stessi testimoni – ha detto Valentini – ci dicono che i due avevano avuto all’interno del locale delle effusioni, consistite nel mettersi l’uno verso l’altro le mani all’interno dei pantaloni che erano slacciati, non vi è stata alcuna violenza. Questi atteggiamenti intimi rappresentano un dato di fatto, imprescindibile da qualsiasi giudizio”.

Parlando poi della fuga del giovane il legale ha evidenziato che “Tuccia era seduto in macchina, ferma, intento a fumarsi una sigaretta, era sconvolto”.

Sulla pratica sessuale (fisting, ndr) il legale ha asserito che “si tratta di una pura invenzione. Si è trattato, lo ha dichiarato lo stesso Tuccia, di una manipolazione pre-rapporto sessuale che gli è deflagrata e si è messo paura, se non mi credete allora perché non facciamo un’ altra perizia?”.

“Lo stesso consulente del pubblico ministero Aromatario, parlando delle lesioni subite dalla giovane – ha detto sempre Valentini – ha usato il termine di ‘aspetto stellato’, dovuto quasi a uno scoppio, che si verifica quando i tessuti perdono di elesticità”.

Nella sua arringa Valentini ha detto che “va dimostrata la condotta abusiva dell’imputato”.

Per l’avvocato Villani, “tutta la vicenda nasce dall’errata valutazione del ginecologo del pronto soccorso che ha parlato di elementi esterni fino a ipotizzare che Tuccia avesse utilizzato un ferro per provocare le lesioni alla ragazza”.

“I due – ha detto sempre Villani – sono stati visti uscire insieme mano nella mano, l’atto sessuale è stato libero e consenziente, si è tratto di un fatto accidentale, non vi è stata nessuna violenza fisica per arrivare all’atto sessuale, non vi sono prove del dolo né sul dissenso da parte della giovane”.

IL PROCURATORE GENERALE CHIEDE 11 ANNI

Il procuratore generale della Corte di Appello dell’Aquila Ettore Picardi ha chiesto, a parziale riforma della sentenza di primo grado, la condanna a 11 anni di reclusione per l’ex militare campano di stanza all’Aquila Francesco Tuccia, nell’ambito del processo di secondo grado per lo stupro di una giovane studentessa universitaria laziale avvenuto nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 2012 fuori da una discoteca di Pizzoli (L’Aquila).

La richiesta del pg è di 7 anni di reclusione per violenza sessuale e 4 per le lesioni personali.

Picardi, che si è rifatto ai motivi di appello che aveva presentato il collega Romolo Como, ha chiesto che vengano riconosciute anche le aggravanti delle sevizie e della crudeltà.

IL RICORSO DELLA PROCURA

“INDOLE MALVAGIA E SENZA PIETA’”

“Erroneamente il giudice di primo grado ha ritenuto l’insussistenza dell’aggravante dell’aver agito con sevizie e in modo crudele e ha riconosciuto la continuazione tra il delitto di violenza sessuale e quello delle lesioni volontarie aggravate”, si legge nel ricorso presentato dal pg Como.

Su questo punto il procuratore evidenzia come “le modalità della condotta del giovane comportano il riconoscimento dell’aggravante quando rendono obiettivamente evidente la volontà del reo di infliggere alla vittima sofferenze ulteriori rispetto a quelle già insite nel dover subire l’aggressione e che costituiscono un qualcosa di più che rende la condotta particolarmente riprovevole per la gratuità dei patimenti inflitti, che rivela indole malvagia e priva di umana pietà”.

“LESIONI DOPO LA VIOLENZA”

Altro aspetto evidenziato la non continuazione tra violenza sessuale e lesioni e il pg oggi in aula, Ettore Picardi, facendo suo il ricorso presentato da Como, ha evidenziato che “perché si possa parlare di unico disegno criminoso occorre che sia accertato il dolo diretto e programmato, tanto che il solo dolo d’impeto è ritenuto incompatibile con la continuazione perché esclude la violazione preventiva e preordinata dell’insieme dei reati”.

“VIOLENZA BRUTALE DA NON BANALIZZARE”

Per Picardi il tasso alcolemico della giovane superiore alla norma “è indicativo della condizione della parte offesa che ha determinato inequivocabilmente l’impossibilità di sopportare la violenza subita”.

“Fino a oggi – ha aggiunto – non ero a conoscenza della pratica sessuale (fisting, ndr) messa in atto, e il tentativo di banalizzare la stessa risulta incoerente con i fatti. Si tratta di un tentativo maldestro che cozza con i danni subiti dalla parte offesa, una penetrazione importante, una violenza brutale che è stata esercitata a prescindere”.

“GIOVANE ETA’ ATTENUANTE VANIFICATA”

“L’unico vantaggio per l’imputato – ha detto sempre il pg – può essere solamente la giovane età, vanificato dal contesto in cui c’è stato il disprezzo della vita altrui perché lasciare una persona inanimata all’esterno del locale in pericolo di vita, dà al fatto una connotazione più negativa e dura. Poi vi è anche il tentativo maldestro di far ricadere su altri, mettendo in bocca alla vittima che si trovava in quello stato il nome di un altro ben definito soggetto (il disk-jockey della discoteca ndr) che connota bene la condotta posta in essere”.

“L’ATTO SESSUALE E L’ABBANDONO NON UN UNICO PROGRAMMA”

Nell’appello depositato dal pg Romolo Como si evince come “Tuccia in un primo momento voleva eseguire (per libidine o come forma di disprezzo verso la giovane donna) una manovra di penetrazione con tecnica estrema… e successivamente, alla vista del copioso sanguinamento, voleva sottrarsi alle sue responsabilità ripartendo in auto con gli amici…”.

“Sicuramente – afferma sempre il pg – nei due distinti momenti della progressione criminosa avrebbe dovuto rappresentarsi l’eventualità che la vittima restasse gravemente lesa nel corpo e nella psiche, ma questa è ipotesi di dolo eventuale che di per sé esclude un previo unico programma delittuoso tra l’atto sessuale per quanto abnorme, il ferimento e poi l’abbandono”.

Al termine della requisitoria Picardi ha chiesto per Tuccia anche l’applicazione delle pene accessorie.

VITTIMA E STUPRATORE INSIEME IN AULA

Si troveranno in aula l’uno di fronte all’altra la studentessa laziale dell’Università dell’Aquila e l’ex militare campano di stanza nel capoluogo abruzzese Francesco Tuccia, accusato di averla stuprata la notte tra l’11 e il 12 febbraio 2012 fuori una discoteca di Pizzoli (L’Aquila).

È cominciato intorno a mezzogiorno il processo di secondo grado presso la Corte d’Appello dell’Aquila, dopo la condanna del giovane in primo grado a 8 anni di reclusione.

La Corte, infatti, ha esaminato una serie di procedimenti fissati in precedenza di più rapida discussione e poi ha cominciato a trattare il caso più importante, quello appunto sulla vicenda della violenza sessuale.

La discussione dovrebbe occupare il resto della mattina e gran parte del pomeriggio, con il verdetto atteso, secondo quanto si è appreso, comunque per oggi ma in tardo pomeriggio o anche in serata.

I due protagonisti della vicenda sono arrivati di prima mattina poco dopo le 8.30, entrambi attorniati dai familiari. La ragazza vestita in nero con un cappello grigio e un tablet, l’altro vestito in chiaro con cravatta e capelli più lunghi rispetto al taglio militare che aveva nei giorni del processo di primo grado.

La difesa, con l’avvocato aquilano Antonio Valentini, punta a una riduzione della pena del giovane che è agli arresti domiciliari e che la mattina può uscire per andare a lavorare.

Ma l’obiettivo si fa più difficile alla luce del fatto che il procuratore Ettore Picardi nei motivi dell’Appello ha chiesto che a Tuccia venga contestata anche l’aggravante della crudeltà e delle sevizie.

Dopo la violenza definita “inaudita” dai giudici di primo grado, Tuccia ha lasciato la vittima svenuta in mezzo alla neve con la ragazza che è stata salvata dal personale della sicurezza nel corso di un giro di perlustrazione prima di chiudere il locale.

“Confidiamo di avere giustizia ricordando che, tra l’altro, il procuratore generale già in sede di motivi di appello nei mesi scorsi ha presentato istanza in merito alle aggravanti della crudeltà e delle sevizie”, ha dichiarato l’avvocato della giovane, Enrico Gallinaro. (alb.or. – b.s.)

06 Dicembre 2013 – 18:37

 

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Le trasmissioni del Mfla di radiondarossa

Nel link tutte le trasmissioni e le corrispondenze che Il martedì autogestito da femministe e lesbiche di radiondarossa ha trasmesso.

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Rassegna stampa web

Stupro Pizzoli: “Se parli ti diffamo” – Il capoluogo – 7 giugno 2016

7 anni e 8 mesi in cassazione al militare Tuccia – News Town – 9 gennaio 2015

La cassazione condanna Tuccia – Lettera43 – 9 gennaio 2015

Francesco Tuccia merita l’ergastolo”, parla la ragazza stuprata – Abruzzo web – 7 dicembre 2013

Stupro L”Aquila: tensione tra legali Tuccia e papà ragazza, ora l’attesa – Abruzzo web 6 dicembre 2013

 

Tuccia è a piede libero e lavora in una a cooperativa – Irpinia24 – 30 ottobre 2013 (video) – La puntata de La7 citata non si trova più sul sito

Tuccia condannato torna al lavoro – Abruzzoweb – 7 agosto 2013

Pizzoli: il giudice censura anche gli amici di Tuccia – 2 maggio 2013

Minacce all’avvocata Giannangeli – Abruzzoweb – 4 febbraio 2013

La sentenza contro Francesco Tuccia – Youtube – 31 gennaio 2013 (video)

“Sto male” ha detto il giovane prima dell’arrivo dei giudici – PrimaDaNoi – 31 gennaio 2013

Il giudice Grieco condanna Tuccia a otto anni – Abruzzo24h tv – 31 gennaio 2013 (video)

Rosa in aula: “Questa storia è un incubo” – Abruzzo24h tv – 10 gennaio 2013

Inizia il processo, le donne assediano il Tribunale – Abruzzo24htv – 18 ottobre 2012 (video)

A chi l’ha visto parla Rosa – Abruzzo24h – 14 giugno 2012

Tuccia ai domiciliari “scappo dall’Italia” – Abruzzoweb – 9 giugno 2012

Domenica5 parla l’avvocato di Tuccia, Villani, in studio fischi – 4 marzo 2012 (video)

Dimessa Rosa dall’ospedale San salvatore – 1 marzo 2012

La difesa: “E’ stato atto consenziente” – Abruzzo tv – 28 febbraio 2012

Stupro Pizzoli, Tuccia interrogato dal Gip – Abruzzo24h tv – 28 febbraio 2012 (video)

“Non c’è dubbio è stato Tuccia” – Abruzzoweb – 24 febbraio 2012

 

 

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Toccano una, toccano tutte! Liberiamoci insieme dalla violenza contro le donne

donne-cono-rosaE’ il 12 febbraio del 2012 quando Rosa si trova con una sua amica in una discoteca a Pizzoli.

E’ sabato sera e a L’Aquila fa molto freddo. Nella discoteca non ci sono tante persone se non quei militari che il terremoto ha portato là per l’ Operazione strade sicure.

Verso le 4:00 di mattina Rosa verrà ritrovata in mezzo alla neve, con una temperatura sotto zero, sanguinante e in stato di non coscienza. Altri cinque minuti e sarebbe morta. Almeno tre i militari direttamente responsabili della violenza.

L’8 gennaio 2015 alla Corte Suprema di Cassazione si svolgerà l’ultima tappa del processo per lo stupro avvenuto quel 12 febbraio. L’unico imputato su tre responsabili, Francesco Tuccia (Michele Schiavone e Stefano Buccella, gli altri due), dopo esser stato condannato colpevole, sta prestando servizio di ambulanza in Campania.

Un processo che la dice lunga sull’ipocrisia e sulla violenza caratteristiche di qualsiasi  processo per stupro, nei quali è la donna a ritrovarsi colpevolizzata e ridicolizzata; dove il Pronto Soccorso dell’ospedale cerca di nascondere la violenza efferata prescrivendo solo 20 giorni di prognosi ad una ragazza in fin di vita; dove nelle arringhe dell’avvocato difensore diventa legittimo stuprare una ragazza da parte di un gruppo di uomini in divisa; dove il sistema legislativo e giudiziario mostra la non volontà della ricostruzione dei fatti accaduti in quella discoteca a Pizzoli, poiché il piano legale non può rischiare di contraddire la cultura dello stupro che lo regge. Una cultura imbevuta della violenza maschile sulle donne che permea la nostra società ed è l’arma con la quale esercitano il controllo su di noi.

Tante le reti di complicità e omissioni che si sono preoccupate di imbastire una storia di menzogne e giustificazione. Una storia nella quale il potere militare-politico è così forte che non ha più bisogno della retorica della mela marcia, dove si addossa la colpa al solo singolo e non all’intero sistema,  poiché a L’Aquila, come in tutti i territori militarizzati, gli uomini in divisa fanno del corpo delle donne un territorio di conquista e i limiti del diritto, di cosa sia o meno legittimo saltano. Ma quello che sperimentano nei territori militarizzati diventa sempre più strumento di ordinaria amministrazione dei contesti cosiddetti civili.

Nei tribunali, nelle questure, per strada e in famiglia, lo Stato e la Legge si impegnano a cancellare la voce delle donne che nominano e reagiscono alla violenza. La Legge non potrà mai corrispondere alle nostre esigenze perché essa si preoccupa di difendere e perpetuare,  la cultura dello stupro.

Tutto questo risulta evidente anche dall’ultimo decreto antifemminicidio. Un “Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” che fa rientrare il contrasto alla violenza di genere in un pacchetto in cui la donna è dichiarata come “soggetto debole” da tutelare persino da se stessa, togliendole anche il diritto di autodeterminazione, laddove le impedisce di revocare la querela anche nel caso sia fatta da altri e non dalla donna che ha subito la violenza. Purtroppo di straordinario nella violenza maschile contro le donne c’è ben poco, non è un’emergenza in quanto è un dato strutturale della nostra società che non può essere affrontato con misure straordinarie.

Rispondiamo a tutto questo con la solidarietà tra donne, a fianco di Rosa, di tutte quelle che in diverse forme  rompono il silenzio e che spesso per questo sono esposte  alla vendetta e alla violenza del sistema giudiziario e mediatico.

Affinché la fatica di raccontare i nostri vissuti e smascherare la violenza che subiamo sia compensata dalla forza che viene dalla consapevolezza e dalle nostre reazioni per combatterla.

Affinché la nostra voce si possa sentire nel rumore e nella confusione prodotti dalla cultura dello stupro.

Affinché  questo rumore confuso non ci impedisca di reagire insieme aldilà della denuncia legale!

8 gennaio ore 10 (puntuali) Piazza Cavour 

davanti alla Corte Suprema di Cassazione

 

Compagne femministe e lesbiche

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Comunicati dal resto d’Italia

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Dalla procura dell’Aquila continua la caccia alle streghe con la persecuzione delle donne che non tacciono
– Tgmaddalena – 3 ottobre 2016

Stupro dell’Aquila quello che i giornali non dicono –  Sciopero’ non basta – 10 dicembre 2013

“C’è stato un rapporto consenziente” l’avvocato di Tuccia, Villani parla in tv – Fuori genere – 13 marzo 2012

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La storia dello stupro sui nostri corpi la raccontiamo noi!

laquila10gennaio13Oggi 6 dicembre 2013, ci troviamo qui davanti ad un tribunale, dove si sta svolgendo l’appello per il processo di stupro del 12 febbraio 2012, agito da tre militari di servizio qui a L’Aquila post-terremotata. L’unico imputato su tre responsabili, Francesco Tuccia (Michele Schiavone e Stefano Buccella, gli altri due), dopo esser stato condannato colpevole, sta prestando servizio di ambulanza in Campania. E’ dunque un processo questo che la dice lunga sull’ipocrisia e sulla violenza caratteristiche di qualsiasi

processo per stupro, nei quali è la donna, che esplicita la violenza subita, a ritrovarsi colpevolizzata e ridicolizzata, mentre lo strupratore viene giustificato e non perde il suo ruolo attivo nella società. Come chiamare questa assurda logica? La nominiamo “cultura dello stupro”, una cultura che è imbevuta della violenza maschile e che fa apparire legittimo stuprare e tentare di uccidere, lasciandola in fin di vita, una ragazza da parte di un gruppo di uomini in divisa. In questo processo in particolare sono evidenti le complicità tra potere militare e giudiziario, e non ultimo il ruolo di insabbiamento da parte del Pronto Soccorso dell’ospedale de L’Aquila: reti di complicità e omissioni che si sono preoccupate di imbastire una storia di menzogne e giustificazione. Una storia dalla quale gli supratori, ne escano illesi e senza macchia: difesi e salvati dall cultura dello stupro. La mentalità dell’esercito, dei corpi militari, di uomini in divisa è imbevuta di questa cultura. Essi stuprano in situazioni di conflitto o di guerra, poiché sono autorizzati dal potere della divisa, una divisa che dicono dovrebbe “proteggere”, ma che protegge se stessa e la violenza e l’ipocrisia del sistema. Con lo stupro de L’Aquila, ci è chiaro che questa logica non viene agita solo in territori di conflitto o guerra, ma diventa uno strumento di ordinaria amministrazione dei contesti cosiddetti “civili”. Non a caso quando una donna denuncia la violenza domestica, le “forze dell’ordine” s’impegnano a convincerla a passare sopra l’accaduto e si sforzano di insabbiare la violenza e lo stupro, affinchè la violenza maschile sulle donne non venga nominata dalle donne stesse. L’Aquila ci ha raccontato come viene autorizzata e perpetuata questa cultura del silenzio e della cancellazione della voce delle donne. Gli apparati militari, politico-giudiziari, con la scusa della “ricostruzione”, sperimentano nel territorio aquilano forme di controllo sociale particolarmente violente ed ipocrite, grazie ad una maggiore e “speciale” libertà di azione. Infatti, questo processo vergognoso mostra come non ci sia più neanche il bisogno della retorica della “mela marcia”, dove si addossa la colpa al solo singolo e non all’intero sistema, poiché a L’Aquila, come in tutti i territori militarizzati, i limiti del dirittto, di cosa sia o meno leggittimo e “legale”, saltano. Questo stupro e il suo finto processo non costituiscono un caso eccezionale: L’Aquila come le caserme romane di Quadraro e San Basilio, è una realtà dove gli uomini in divisa fanno del corpo delle donne un territorio di conquista, dove appunto la cultura dello stupro è la legge. In tutti i sensi. Il sistema legislativo e giudiziario, perciò, esprime la non volontà della ricostruzione dei fatti così come sono accaduti in quella discoteca a Pizzoli, o in quella caserma al Quadraro o in quel C.I.E. di Torino, e così via, poiché il piano legale non può rischiare di contraddire la cultura che lo regge: quella dello stupro. In questo processo, dove bisognava salvare l’immagine della presenza militare nel territorio, poi, non sono stati rispettati neppure le procedure di indagine ordinarie minime: segno questo, che i provvedimenti legali, dei quali lo Stato si riempie la bocca “in difesa delle donne” e “contro la violenza sulle donne” sono solo parole che nascondono la realtà dei fatti. Nei tribunali, nelle questure, per strada e in famiglia, lo Stato e la Legge si impegnano a cancellare la voce delle donne che nominano e reagiscono alla violenza. La Legge non potrà mai corrispondere alle nostre esigenze perchè essa si preoccupa di difendere e perpetuare con modi sempre più meschini e insidiosi, la cultura dello stupro, cioè l’arma con la quale viene esercitato il controllo su di noi. Eppure anche se il sistema giudiziario e legale è compromesso, e il dialogo con le istituzioni è frustrante, la denuncia pubblica è ancora uno strumento di rottura del silenzio, uno strumento che disturba la cultura dello stupro. Disturba perchè ciò che doveva esser subito e taciuto, diventa visibile: la nostra esperienza, pur nel grande vociare delle menzogne militari-giudiziarie-politiche-giornalistiche, si fa sentire! La società non può tapparsi le orecchie. Siamo qui presenti, davanti a questo palazzo del potere e della cultura dello stupro per stare accanto alle donne, per lottare insieme contro il silenzio e contro la violenza. Ogni forma che le donne trovano per rompere il silenzio e che si espone per questo alla vendetta e alla violenza del sistema giudiziario e mediatico, dovrebbe trovare la solidarietà e la presenza delle altre donne. Affinché la nostra voce si possa sentire nel rumore e nella confusione prodotti dalla cultura dello stupro. Affinchè questo rumore confuso non ci impedisca di reagire insieme, come collettività in lotta, come singolarità che trovano forza anche aldilà della denuncia legale. E’ difficile esprimere e raccontare, come donne e lesbiche, i nostri vissuti, smascherare la violenza, poiché questo implica lottare contro un sistema radicato ancora esclusivamente patriarcale, e che è tutto incentrato a limitare la nostra consapevolezza sulla violenza, la nostra libertà di espressione e la nostra reazione contro la violenza degli uomini. Ma la storia dello stupro sui nostri corpi la vogliamo raccontare noi! Una storia che deve essere detta perchè lo strupro è una pratica di annientamento, un atto di guerra, un ordine assordante, che confonde volutamente il senso, chiamando “protezione” ciò che è “violenza”. Accade nelle famiglie, accade nei quartieri, accade nei territori occupati dalle tante guerre. Chi è lo stupratore? Chi è lo strupratore in divisa? Chi sono Tuccia, Buccella e Schiavone? Mele marce e malate, o figli sani del patriarcato e della cultura dello stupro?

Siamo qui per portare la nostra voce di donne in lotta, per riappropiarci delle parole e del senso delle parole. Per raccontare noi la verità su cosa sia lo stupro. Con tutte le forme necessarie.

Compagne femministe e lesbiche

militariallaquila@anche.no

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Perchè potrete contare solo sulla nostra rabbia

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A pochi giorni dall’Appello del processo di L’Aquila vogliamo condividere alcune riflessioni scaturite nel corso di questo ultimo anno in cui abbiamo espresso la nostra solidarietà alla donna lasciata in fin di vita davanti alla discoteca di Pizzoli.

Il processo di L’Aquila ha mostrato emblematicamente l’ipocrisia e la violenza che caratterizzano i processi per stupro, armi di cui si serve il potere patriarcale nel momento in cui una donna esplicita la violenza subita.

In questo processo in particolare sono evidenti le complicità tra potere militare e giuridico; reti di complicità e omissioni che hanno coinvolto persino il Pronto Soccorso che ha accolto la ragazza e che, parallelamente alla vicenda giudiziaria, hanno costruito anche il discorso mediatico.

A L’Aquila è stato legittimo stuprare e tentare di uccidere una ragazza da parte un gruppo di uomini in divisa.

La mentalità dell’esercito e dei corpi militari in generale spinge a rafforzare una cooptazione maschile basata su una disciplina indiscutibile. Gli uomini che stuprano in situazioni di conflitto o guerra sono individui che si sentono autorizzati a quel comportamento perché indossano una divisa che è la stessa che li protegge. Questa logica non viene agita solo sui territori di guerra e conflitto ma diventa strumento di ordinaria amministrazione dei contesti cosiddetti civili.

Così L’Aquila ci ha raccontato come viene autorizzata e perpetuata la cultura dello stupro attraverso gli apparati militari e in seguito politico-giuridici e come, in un territorio controllato e governato da una particolare sperimentazione sociale dal terremoto in poi, venga garantita la possibilità che lo Stato non processi se stesso. Infatti il processo di L’Aquila mostra come non ci sia più neanche bisogno della retorica della mela marcia, perché a L’Aquila come in tutti i territori militarizzati, i limiti del diritto e di cosa è legittimo o no, saltano.

Dunque, sul piano simbolico e non solo, casi che sembrano eccezionali (L’Aquila, San Basilio, Quadraro) rafforzano l’immaginario del corpo della donna come territorio di conquista.

Anche il sistema legislativo e giudicante ha espresso la non volontà della ricostruzione reale dei fatti avvenuti in quella discoteca a Pizzoli e confermato la contraddittorietà del piano legale per le donne che subiscono violenza.

Inoltre nel caso del processo di L’Aquila la debolezza dello strumento legale si è amplificata perché non sono state rispettate neanche le procedure di indagine ordinarie minime consentite. Questo svela come – al di là di provvedimenti legali sempre più
formalmente specificanti delle diverse forme di violenza contro le
donne(come ad esempio lo stalking) – nella realtà e nella concretezza di
quello che avviene nei tribunali non sono mai le donne a definire, nominare e reagire alla violenza contro di loro.

Le leggi non corrispondono alle nostre esigenze, perché lo stupro è la minaccia sociale attraverso la quale il controllo sulle donne e le lesbiche è garantito.

Eppure anche se il piano legale è tutto compromesso a volte manteniamo un dialogo frustrante con le istituzioni, che presentano la denuncia legale come il solo strumento di rottura del silenzio.

Molte donne scelgono la denuncia come modo di rendere visibile la loro esperienza, perché è alla società che richiedono un riconoscimento di quello che hanno subìto. La nostra presenza davanti ai tribunali accanto alle donne che intraprendono questo percorso è perché non neghiamo le differenti forme con le quali le donne decidono di rompere il silenzio e perché sappiamo quanto è violento l’apparato giudiziario e mediatico contro le donne che decidono di denunciare.

Crediamo che la scelta del percorso della denuncia sia legata però alla grande difficoltà di rottura collettiva del tabù dello stupro. Riconosciamo che questo tabù ci limita nell’immaginare delle risposte collettive ed individuali diverse alla denuncia legale. La difficoltà di un discorso delle donne e delle lesbiche contro la violenza che subiamo, difficoltà che sta dentro alla fatica di smascherare e lottare contro il potere patriarcale così radicato, compromette la nostra libertà di reagire alla violenza.

La storia dello stupro sui nostri corpi la vogliamo raccontare noi.

Una storia che deve essere detta perché lo stupro è una pratica di annientamento e un atto di guerra dentro un discorso politico e sociale che la vuole astorica, per non disegnarne i contorni, riassorbendo gli agenti nella “normalità” dell’esistente. Accade nelle famiglie, accade nei quartieri, accade nei territori occupati delle tante guerre. Chi è uno stupratore? Chi è uno stupratore in divisa ? Chi sono Tuccia, Buccella e Schiavone?

Dobbiamo riappropriarci delle parole per dire questo esistente, perché una storia raccontata da noi ci può riconsegnare a noi stesse.

Per questo saremo all’Aquila il 6 dicembre all’apertura dell’udienza di appello con la ferma intenzione di portare la nostra voce in quel territorio con tutte le forme necessarie.

Assemblea domani martedì 3 Dicembre ore 20 Via dei Volsci 22

Compagne femministe e lesbiche
militariallaquila@anche.no

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Toccano una, toccano tutte: presidio al pronto soccorso dell’Aquila

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E’ il 12 febbraio del 2012 quando Rosa si trova con una sua amica in una discoteca a Pizzoli.

E’ sabato sera e all’Aquila fa molto freddo. Nella discoteca non ci sono tante persone se non quei militari che il terremoto ha portato là per l’ “Operazione strade sicure”. Verso le 4:00 di mattina Rosa verrà ritrovata in mezzo alla neve, con una temperatura sotto zero, sanguinante e in stato di non coscienza. Altri cinque minuti e sarebbe morta. Lo stupro è evidente ed anche la brutalità con la quale è stato commesso. Mentre Rosa lotta tra la vita e la morte 3 baldi commilitoni, Michele Schiavone, Stefano Buccella e Francesco

Tuccia, passata la notte nella discoteca di Pizzoli, cercano di svignarsela e tornare di soppiatto alla caserma Pasquali.

A seguito dell’accaduto sono state esercitate pressioni politico-militari a vari livelli affinché ci fosse un occultamento dei fatti, ma la gravità è tale che perno i giudici nella sentenza saranno costretti a riconoscere l’efferatezza della violenza e il comportamento colpevole e complice di tutti e tre i militari. Comunque, solo il Tuccia verrà fermato mentre gli altri verranno candidamente lasciati andare.

Rosa arriva moribonda al pronto soccorso dell’ospedale civile San Salvatore dell’Aquila. Chi la visita per prima le prescrive meno di 20 giorni di prognosi. Gli stessi giorni che si danno per una falange rotta e che hanno permesso ai tre baldi commilitoni di non essere individuati. In realtà Rosa verrà tenuta in ospedale due mesi e mezzo e operata per ben due volte. Ed è solo grazie a questo che arriverà viva al processo. Le omissioni del pronto soccorso, struttura di prima accoglienza per le donne che subiscono violenza, sono gravissime e colpevoli. E dimostrano ancora una volta che le istituzioni seppur “civili”, seppure luoghi di cura, non rappresentano per noi un luogo protetto bensì luoghi asserviti ai poteri forti e ai privilegi di alcuni. L’identità dei soggetti coinvolti, militari con cognomi noti in tutto l’Abruzzo, ha contato più della verità che un corpo stuprato racconta.

Il processo si apre 8 mesi dopo l’accaduto e vedrà Francesco Tuccia come unico imputato di stupro e tentato omicidio e si concluderà in primo grado con una condanna ad 8 anni per stupro.

Ma al racconto giudiziario di questa vicenda se ne affiancano altri.

Quello di una serata in discoteca dove ROSA E’ STATA STUPRATA.

Quello di un racconto mediatico dove Rosa è sempre sotto i riettori, mentre gli stupratori sembrano non avere una storia, un’identità. Schiavone e Buccella scompaiono dalle cronache. Quello di un controllo degli apparati militari su tutto un territorio, iniziato con il terremoto e che ormai in modo capillare ha pervaso anche le strutture civili.

RISPONDIAMO A TUTTO QUESTO CON LA SOLIDARIETA’ TRA DONNE E CON LA ROTTURA DEL SILENZIO

RIAPPROPRIAMOCI DELLE PAROLE PER UNA STORIA RACCONTATA DA NOI

Ecco perché il 23 Novembre siamo state davanti al pronto soccorso.di L’Aquila

Il 6 dicembre, data di inizio del processo di appello, dalle ore 9:00, saremo davanti al tribunale ed invitiamo tutte le donne dell’Aquila ad esserci con forza.

L’Aquila, 23 Novembre 2013

le compagne femministe e lesbiche di Roma

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MFPR: Il 31 gennaio a L’Aquila ultima udienza del processo per lo stupro di Pizzoli

Il 31 gennaio 2013 si tiene a L’Aquila l’ultima udienza del processo per lo stupro di “Rosa”, una ragazza di 20 anni, che nella notte del 12 febbraio scorso, fuori della discoteca di Pizzoli (AQ), fu brutalmente violentata, seviziata e abbandonata sulla neve seminuda e insanguinata, fino a rischiare di morire.

Accusato di questa aggressione e tentato omicidio è Francesco Tuccia, un militare del 33/o reggimento Artiglieria Acqui, impiegato nell’operazione “strade sicure” a L’Aquila.
Sicure da morire, ma in fondo è colpa nostra!
Le atrocità commesse sul corpo di Rosa da militari impiegati nell’operazione “Strade sicure”, gli stupri, i femminicidi in continuo aumento e sempre più efferati nel nostro paese e nella nostra città (solo un paio di settimane fa, proprio vicino al tribunale di L’Aquila è stata uccisa Hrjeta Boshir dal suo ex- marito), rendono questa vicenda emblematica di quale “sicurezza” questo Stato parli.
  • quella delle aule di tribunale, dove la donna viene stuprata e offesa una seconda volta con affermazioni del tipo “se succede le donne se la sono cercata”, “si è trattato di un rapporto amoroso consensuale”…
  • delle questure, dove le donne vengono scoraggiate a denunciare i loro stupratori, soprattutto se appartenenti alle forze dell’ordine: “non è il caso di sporgere denuncia”, hanno risposto dalla Questura di L’Aquila a una ragazza che voleva denunciare il tentativo di stupro da parte dell’amico e commilitone di Tuccia, Stefano Buccella, poi coinvolto insieme a Tuccia nello stupro di Pizzoli.
  • delle procure, dove si va dagli arresti domiciliari per gli stupri anche reiterati, all’istigazione allo stupro e ai femminicidi, con affermazioni come quella del Procuratore di Bergamo, Francesco Dettori: “sarebbe bene che di sera le donne non uscissero da sole…”
  • delle caserme, delle carceri e dei cie, dove sempre più donne, senza diritti (perché prostitute, o immigrate, o semplicemente prigioniere), vengono ricattate e stuprate impunemente
  • della chiesa, che giustifica il femminicidio con “l’atteggiamento provocante delle donne” (vedi Don Corsi, parroco di San Terenzo a Lerici)
  • del governo, dello Stato dei padroni, della sacra famiglia, embrione e puntello di questo sistema sociale, dove si amplificano le contraddizioni e si concentra la violenza (7 donne su 10 uccise in famiglia) e i governi, di destra e di sinistra, continuano a propinare interventi a “favore della famiglia” con licenziamenti – soprattutto di donne – carovita, tagli a scuola, sanità, servizi sociali, ecc., ricacciando le donne tra le mura domestiche, condannandole al continuo ricatto, ad un futuro senza prospettive di emancipazione e di liberazione dalla violenza domestica. Intanto fuori, con la militarizzazione, creano città invivibili e desertificate, in cui sono bandite le normali libertà, la socialità tra i giovani, tra le persone, spingendo a una concezione individualista, antisociale della vita, compagna di strada della sopraffazione, di una ideologia comunque reazionaria, razzista e fascista che nei confronti delle donne si esprime sempre come maschilismo e violenza…
Le violenze contro le donne poi si amplificano negli ambienti militari, improntati costituzionalmente al machismo, al rambismo, ad una ideologia maschilista e fascista, in cui gli stupri, le violenze sulle donne sono considerati “normali”,  “medaglie” da mettersi sul petto e coperte da tutta la struttura militare (vedi tutta la feccia emersa nell’inchiesta sull’omicidio di Melania Rea).
Non di isolate “mele marce”, dunque, si tratta, ma di una guerra sistemica contro le donne!
Dall’India all’Italia, al mondo intero
scateniamo la furia delle donne come forza poderosa della rivoluzione!
 
Non è quindi questo Stato che può difendere noi donne, che può reprimere i “suoi” stupratori e impedire le violenze sessuali. Questo Stato borghese è la causa, non la soluzione del clima moderno fascista che alimenta stupri e femminicidi.
Solo noi donne possiamo e dobbiamo invertire questa rotta! Con la nostra lotta complessiva e radicale contro questa società capitalista, che produce e si alimenta di violenze sessuali e femminicidi, che ci vuole “puttane” o “angeli del focolare” ricacciandoci in un moderno medioevo.
Noi che non abbiamo alcun sistema da difendere, noi che non abbiamo voti da conquistare, diciamo oggi con più forza che siamo chiamate a rispondere direttamente a questa guerra scatenata contro le donne. E di fronte a una guerra sistemica, la nostra lotta non può che essere rivoluzionaria.
Siamo al fianco di Rosa e vogliamo la condanna dello stupratore, come  passo in avanti della lotta complessiva delle donne contro questo sistema sociale.
Per ogni donna stuprata e offesa, siamo tutte parte lesa!
movimento femminista proletario rivoluzionario

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