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La storia dello stupro sui nostri corpi la raccontiamo noi!

laquila10gennaio13Oggi 6 dicembre 2013, ci troviamo qui davanti ad un tribunale, dove si sta svolgendo l’appello per il processo di stupro del 12 febbraio 2012, agito da tre militari di servizio qui a L’Aquila post-terremotata. L’unico imputato su tre responsabili, Francesco Tuccia (Michele Schiavone e Stefano Buccella, gli altri due), dopo esser stato condannato colpevole, sta prestando servizio di ambulanza in Campania. E’ dunque un processo questo che la dice lunga sull’ipocrisia e sulla violenza caratteristiche di qualsiasi

processo per stupro, nei quali è la donna, che esplicita la violenza subita, a ritrovarsi colpevolizzata e ridicolizzata, mentre lo strupratore viene giustificato e non perde il suo ruolo attivo nella società. Come chiamare questa assurda logica? La nominiamo “cultura dello stupro”, una cultura che è imbevuta della violenza maschile e che fa apparire legittimo stuprare e tentare di uccidere, lasciandola in fin di vita, una ragazza da parte di un gruppo di uomini in divisa. In questo processo in particolare sono evidenti le complicità tra potere militare e giudiziario, e non ultimo il ruolo di insabbiamento da parte del Pronto Soccorso dell’ospedale de L’Aquila: reti di complicità e omissioni che si sono preoccupate di imbastire una storia di menzogne e giustificazione. Una storia dalla quale gli supratori, ne escano illesi e senza macchia: difesi e salvati dall cultura dello stupro. La mentalità dell’esercito, dei corpi militari, di uomini in divisa è imbevuta di questa cultura. Essi stuprano in situazioni di conflitto o di guerra, poiché sono autorizzati dal potere della divisa, una divisa che dicono dovrebbe “proteggere”, ma che protegge se stessa e la violenza e l’ipocrisia del sistema. Con lo stupro de L’Aquila, ci è chiaro che questa logica non viene agita solo in territori di conflitto o guerra, ma diventa uno strumento di ordinaria amministrazione dei contesti cosiddetti “civili”. Non a caso quando una donna denuncia la violenza domestica, le “forze dell’ordine” s’impegnano a convincerla a passare sopra l’accaduto e si sforzano di insabbiare la violenza e lo stupro, affinchè la violenza maschile sulle donne non venga nominata dalle donne stesse. L’Aquila ci ha raccontato come viene autorizzata e perpetuata questa cultura del silenzio e della cancellazione della voce delle donne. Gli apparati militari, politico-giudiziari, con la scusa della “ricostruzione”, sperimentano nel territorio aquilano forme di controllo sociale particolarmente violente ed ipocrite, grazie ad una maggiore e “speciale” libertà di azione. Infatti, questo processo vergognoso mostra come non ci sia più neanche il bisogno della retorica della “mela marcia”, dove si addossa la colpa al solo singolo e non all’intero sistema, poiché a L’Aquila, come in tutti i territori militarizzati, i limiti del dirittto, di cosa sia o meno leggittimo e “legale”, saltano. Questo stupro e il suo finto processo non costituiscono un caso eccezionale: L’Aquila come le caserme romane di Quadraro e San Basilio, è una realtà dove gli uomini in divisa fanno del corpo delle donne un territorio di conquista, dove appunto la cultura dello stupro è la legge. In tutti i sensi. Il sistema legislativo e giudiziario, perciò, esprime la non volontà della ricostruzione dei fatti così come sono accaduti in quella discoteca a Pizzoli, o in quella caserma al Quadraro o in quel C.I.E. di Torino, e così via, poiché il piano legale non può rischiare di contraddire la cultura che lo regge: quella dello stupro. In questo processo, dove bisognava salvare l’immagine della presenza militare nel territorio, poi, non sono stati rispettati neppure le procedure di indagine ordinarie minime: segno questo, che i provvedimenti legali, dei quali lo Stato si riempie la bocca “in difesa delle donne” e “contro la violenza sulle donne” sono solo parole che nascondono la realtà dei fatti. Nei tribunali, nelle questure, per strada e in famiglia, lo Stato e la Legge si impegnano a cancellare la voce delle donne che nominano e reagiscono alla violenza. La Legge non potrà mai corrispondere alle nostre esigenze perchè essa si preoccupa di difendere e perpetuare con modi sempre più meschini e insidiosi, la cultura dello stupro, cioè l’arma con la quale viene esercitato il controllo su di noi. Eppure anche se il sistema giudiziario e legale è compromesso, e il dialogo con le istituzioni è frustrante, la denuncia pubblica è ancora uno strumento di rottura del silenzio, uno strumento che disturba la cultura dello stupro. Disturba perchè ciò che doveva esser subito e taciuto, diventa visibile: la nostra esperienza, pur nel grande vociare delle menzogne militari-giudiziarie-politiche-giornalistiche, si fa sentire! La società non può tapparsi le orecchie. Siamo qui presenti, davanti a questo palazzo del potere e della cultura dello stupro per stare accanto alle donne, per lottare insieme contro il silenzio e contro la violenza. Ogni forma che le donne trovano per rompere il silenzio e che si espone per questo alla vendetta e alla violenza del sistema giudiziario e mediatico, dovrebbe trovare la solidarietà e la presenza delle altre donne. Affinché la nostra voce si possa sentire nel rumore e nella confusione prodotti dalla cultura dello stupro. Affinchè questo rumore confuso non ci impedisca di reagire insieme, come collettività in lotta, come singolarità che trovano forza anche aldilà della denuncia legale. E’ difficile esprimere e raccontare, come donne e lesbiche, i nostri vissuti, smascherare la violenza, poiché questo implica lottare contro un sistema radicato ancora esclusivamente patriarcale, e che è tutto incentrato a limitare la nostra consapevolezza sulla violenza, la nostra libertà di espressione e la nostra reazione contro la violenza degli uomini. Ma la storia dello stupro sui nostri corpi la vogliamo raccontare noi! Una storia che deve essere detta perchè lo strupro è una pratica di annientamento, un atto di guerra, un ordine assordante, che confonde volutamente il senso, chiamando “protezione” ciò che è “violenza”. Accade nelle famiglie, accade nei quartieri, accade nei territori occupati dalle tante guerre. Chi è lo stupratore? Chi è lo strupratore in divisa? Chi sono Tuccia, Buccella e Schiavone? Mele marce e malate, o figli sani del patriarcato e della cultura dello stupro?

Siamo qui per portare la nostra voce di donne in lotta, per riappropiarci delle parole e del senso delle parole. Per raccontare noi la verità su cosa sia lo stupro. Con tutte le forme necessarie.

Compagne femministe e lesbiche

militariallaquila@anche.no

Posted in La solidarietà femminista.